V. 12 (2009)
Un omaggio a Susana Bombal

Di reliquie e souvenirs: l’epifania discreta delle “cose” in Tres domingos di Susana Bombal

Pubblicato 2023-07-12

Parole chiave

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Abstract

Una barranca vacía, quebrada por grandes troncos mutilados, y unos escombros, restos de ladrillos, una ausencia de voces de pájaros y de caminos, decían, con el río callado, de la indiferencia de los hombres ante el orden perfecto de las cosas que destruyen.

Con questa apocalisse in tono minore, in cui un indugiare assorto e morbido convoca e respinge al contempo il monito di una condanna definitiva (la fine del racconto, della possibilità stessa di raccontare) si apre l’ultimo capitolo di <em>Tres domingos</em>: una discarica di cose definitivamente esorcizzate, per sempre “spente”, ormai incapaci di evocare il loro “simulacro”, ci racconta la morte del loro spiritato collezionista, Martín Videla, il mago alchimista, incantato incantatore, che durante le dilatatissime ventiquattr’ore dell’ultima domenica della sua esistenza instaura con i polverosi <em>souvenirs</em> del suo passato un dialogo quasi sovrannaturale, dissotterrandone l’anima nascosta sotto la patina opaca della desuetudine, alla ricerca di un’eternità che gli sfugge. Per contrasto, il monologo delle cose definitivamente “atterrate” (penso alla consunta pelliccia di un “gattopardo” defenestrato), la descrizione sconnessa dell’indifferenza e dell’abbandono (frammenti rotti, percorsi passivamente dal tempo) sembra costituire una rivelazione in abisso, emblematicamente rovesciata, dell’ispirazione letteraria che sostiene questo «breve libro infinito», in cui ogni squarcio paesaggistico, ogni dettaglio di un’antica villa argentina illuminata dall’iridescenza di un crepuscolo che tarda a crollare, ogni pretenziosa suppellettile, consunto arnese, ritratto ingiallito – le tante “buone cose di pessimo gusto” che si affastellano sulla scena e nel discorso creando continue parentesi, nicchie propizie da considerarsi come vere e proprie arche di tesaurizzazione del senso – apre inedite quinte prospettiche, squarci profondi che promettono illusori, eppure deliziosi, <em>trompe l’oeil</em>.