Abstract
Non è possibile parlare di questo breve romanzo di Susana Bombal senza fare riferimento al prezioso prologo borgesiano che lo introduce. Un prologo non esornativo, come succede nella maggior parte dei casi, ma strettamente intrecciato con la narrazione che annuncia, tanto da costituire una guida al suo labirintico svolgimento. Un prologo in cui il Borges che tutti conosciamo si alterna con un Borges, se non proprio sconosciuto, perlomeno inedito e nascosto. Il primo Borges è il saggista, l’analista di strategie diegetiche, il teorizzatore di una narrativa fondata, anziché sulla «simulazione psicologica», su un «gioco preciso di attenzioni, echi, affinità», su quel metodo insomma in cui, come si dice in un saggio degli anni trenta, il rapporto naturale causa-effetto è sostituito da quello «magico, circoscritto e limitato in cui sono profetici i particolari». Una concezione che, più volte ribadita nel corso della multiforme letteratura critica dell’argentino, prenderà forma anche nei suoi più celebri racconti («alla realtà piacciono le simmetrie e i lievi anacronismi» avvisa il narratore prima di passare a descrivere le strane coincidenze che segneranno il viaggio di Dahlmann verso il Sud). In questa linea si inserisce il prologo-guida a Tre domeniche, il «breve libro infinito» che, per uno di quei paradossi in cui è maestro, Borges mette in relazione con i cicli narrativi delle saghe nordiche.