Le derivazioni imperfette e l’armonia ricostruita: un cammino nella poesia con Ángel González
Abstract
«Un hombre lleno de febrero, ávido de domingos luminosos [...] un hombre solo»: così si descrive Ángel González agli inizi degli anni ’50, in mezzo ai tram e ai riflessi di Madrid, la città dove si era trasferito per dedicarsi al giornalismo, presto abbandonato per insofferenza e delusione. Impiegato del Ministero delle Infrastutture fino al 1972, sarà Madrid la città dei suoi primi versi, così come l’interminabile dopoguerra lo scenario della sua poesia. Le «intenzioni» e la «situazione» dei suoi libri condividono un’emanazione comune: la rivoluzione delle Asturie, la guerra civile. Condividono anche la convinzione che vita e poesia siano due stanze comunicanti ma difficilmente abitabili allo stesso tempo. Almeno inizialmente, la poesia di Ángel González è l’osservazione di un tempo distrutto. Sfogliando le pagine di Áspero mundo (1956) e Sin esperanza con convencimiento (1962) è immediata la percezione di una perdita. Ad attenderci sulla soglia di questi versi d’esordio, un paesaggio smembrato, un quadro scomposto.